martedì 3 marzo 2009

Il senso del rapimento estetico


Per Ortoli e Witkowski (la vasca di Archimede, 1998) "il senso del mito è di fungere da tramite tra la scienza e i comuni mortali (scienziati compresi), fra l'incomprensibile e il quotidiano, il magico e il normale." Come esempi riportano i piccoli miti della vasca di archimede. la mela di Newton, la formula del bemzene di Kekulè, ecc....

Il "ritorno alle origini", peculiare del pensiero mitico-religioso, si innesca per una inadeguatezza della conoscenza. All'origine del mito c'è, per l'uomo comune, il fatto di non riuscire a capire, di sentirsi escluso dal cammino delle idee, di non potere accedere alle grandi teorie scientifiche per mancanza di adeguata preparazione.

Chi conosce la realtà non ha bisogno di miti, ma per chi inibisce la percezione del sangue, dell'orrore, della morte, della sofferenza e non sviluppa il senso tragico della vita, il mito assolve il compito (come nella favola di Hans e Gretel) di disseminare i "semi"* che ci riconducono a casa, fino a che non siamo pronti, da soli (e con entrambi gli emisferi cerebrali), ad affrontare le insidie, i tranelli e le proposte "zuccherose" prodotte dalla falsa conoscenza del corpo, delle sue pulsioni inconscie e dei suoi poteri sovramentali (la strega del bosco)

Tuttavia non bisogna falcidiare il pensiero mitico che emerge dall'universo religioso, mistico e psicologico che pretende, a sua volta, di spiegare la realtà invisibile dei sentimenti, dei sogni e dell'arte attraverso "formule rituali, corrispondenze alchemiche e suggestioni mitiche-magiche" inverificabili e incongruenti.

Una ipotetica "scienza della percezione", rappresentata nella Mitologia dall'Aquila di Zeus, potrebbe spiegare ogni tipo di fenomeno visibile e invisibile, mentre è evidente che l'interpretazione erudita dei miti (antropologica, sociologica, psicologica, psicoanalitica, religiosa e teologica) lascia deboli tracce nel tempo.

Il mito elaborato dalla mente razionale dischiude le porte all'intuizione superiore in cui è ravvisabile il fondamento mistico delle scoperte e delle invenzioni. L'interpretazione mitica-magica della realtà permette invece di accedere a una dimensione morale, etica e spirituale altrimenti inacessibile alla ragione comune, razionalmente ancorata a ciò che è misurabile, concreto e verificabile con il metodo scientifico. Il senso del sacrificio e della rinuncia non avrebbe significato in una società in cui esistesse la certezza della conoscenza.

Il Mito è il trono di Zeus, il sovrano indiscusso dell'Olimpo. Con Zeus non c'è mai una certezza ferma e inossidabile nel tempo, poichè i modelli culturali e spirituali della società continuano a cambiare, evolvere e involvere, attraverso l' incessante ruota del ciclo di vita, morte e rinascita, di costruzione del futuro, distruzione del passato e rinnovamento dei simboli che devono rappresentare il millenario pulsare degli archetipi nella coscienza umana.

Zeus è il Signore della coscienza che emerge dalla psiche Femminile. In vesti di Aquila, la percezione cognitiva della realtà, Zeus aiuta Pische a riempire l'ampolla con le acque dello Stige, metafora di un primo livello di conoscenza del significato simbolico che accompagna ogni manifestazione psichica della mente subconscia, inconscia e iperconscia, e rapisce al cielo Ganinede, emblema del "senso del mito" che è all'origine del "pensiero che vede" .

"Il pensiero che vede" il fondamento "mistico" dell'intuizione scientifica e la disgregazione della "razionalizzazione" operata dall'intuizione mitica e religiosa, non si "delizia" più degli aspetti estetici, filosofici ed edonostici che la vita può riservare all'intelletto che "vaga" alla ricerca delle ragioni del vivere e del morire.

"Non credo di essere un pittore nella piena accezione del termine. Se, quand'ero giovane, la pittura era un grande piacere, in certi momenti non ero insensibile a un sentimento spontaneo che mi sorprendeva, precisamente quello di esitere senza conoscere la ragione del vivere e del morire. E' questo sentimento che mi ha indotto a rompere con interessi d'ordine puramente estetico. Per esempio mi accadeva di smettere all'improvviso di dipingere per essere stupito di Essere (il mistero), di avere un modello vivente davanti a me (mito) e di sentire che vedere 'la vita' aveva una importanza ben maggiore che dedicarsi ai piaceri dell'arte d'avanguardia. Nel 1925, stanco di quei piaceri, ho pensato che poco importava trovare un nuovo modo di dipingere ma che per me si trattava piuttosto di ciò che bisognava dipingere, di sapere perché il mistero sia messo in questione".
Magritte.


etimologia della parola mito.
"Clemente Alessandrino riferisce che nel gergo jeratico-orfico Mitos significa "semenza" "seme"
sicché ogni mito racchiude il granello o seme di verità, che una volta deposto nel fondo del nostro intimo, farebbe germogliare la coscienza numinosa " (Giovanni Ranella). Questa definizione concorda con l'immagine dei semi disseminati da Hans e Gretel durante la prima fase di allontanamento (forzato) dalla casa dei genitori (la conoscenza e la morale di gruppo).
I semi del mito vengono poi inghiottiti dal sistema della percezione (nella favola vengono mangiati dagli uccelli) e quindi introiettati all'interno del sistema automatico della cognizione (il Se cognitivo). E' grazie al nutrimento del mito che può emergere spontaneamente il senso delal verità indispensabile per riconoscere i falsi profeti, guru e maestri generati dalla cattiva coscienza occidentale (la strega), abile nel manipolare le pulsioni inconscie individuali e collettive (il bosco) con tecniche di trasformazione di sé "edulcorate e volutamente soft", affinché possa esserci l'illusione della guarigione o del cambiamento

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